| | | Il prossimo 4 dicembre si apriranno le urne per un nuovo referendum, che, senza voler nulla togliere agli ultimi quesiti proposti (che non hanno raggiunto il quorum), si profila come uno dei più importanti della nostra storia repubblicana. Prima di analizzare il significato del voto, sarebbe opportuno fare qualche appunto, specificando in primo luogo cosa questo referendum non è. Il referendum non è un plebiscito in favore (o contro, fate voi) dell'attuale governo, la cui vita non dipende automaticamente dal risultato. Nonostante il Presidente del Consiglio abbia in passato dichiarato che una vittoria del NO avrebbe posto fine al suo governo, può tranquillamente rimangiarsi tutto, accollandosi le conseguenze politiche. Il quesito non riguarda inoltre in alcun punto la nuova legge elettorale denominata Italicum, con la quale voteremo alle prossime politiche se prima di allora non verrà modificata o dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Il disegno di legge Renzi-Boschi prevede disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. Per quanto possa sembrare un po' lungo e corra il rischio di diventare un muro di testo, trovo tuttavia essenziale analizzare singolarmente i diversi articoli di questa legge. Prima di farlo, penso sia naturale un'analisi tout court del quesito, che in sostanza chiede di ratificare o meno questa legge di modifica costituzionale. Come un po' tutte le cose, anche questa legge ha degli aspetti positivi e degli aspetti negativi. Tra gli aspetti positivi sono sicuramente le modifiche apportate al quorum dei referendum e al quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica. Nel primo caso è un modo per superare la beffa in cui si risolvono negli ultimi anni i quesiti, con i fautori del NO che cavalcano l'astensione per avocare a sé anche il non voto dei disinteressati. In tal modo tutti gli interessati sarebbero costretti ad esprimere il proprio SI o il proprio NO. L'elezione del Presidente della Repubblica con una maggioranza più qualificata potrebbe portare a convergere su nomi che riescano ad unire maggiormente le fazioni in campo, portando all'elezione di un arbitro che sappia essere terzo in tutte le situazioni. Aspetti positivi sono anche l'abolizione del CNEL e delle Province, il primo perché rivelatosi negli anni un ente pressoché inutile, le seconde perché frutto di un equivoco giuridico. Nonostante storicamente (e non solo in riferimento alla Repubblica ed al Regno d'Italia, ma anche ai regni indipendenti precedenti) le province siano la divisione amministrativa tipica dell'Italia, con la costituzione delle regioni nel 1970, tale istituto andava soppresso. Non si sa bene perché (o forse lo si sa troppo bene), ma questo non è avvenuto in un primo momento per rendere il passaggio amministrativo più dolce. In seguito poi non si è mai provveduto alla cancellazione dell'ente superfluo perché bacino di favori clientelari. Sostanzialmente essendoci già le regioni è assolutamente inutile avere anche le province. Si riducesse a questo, il quesito sarebbe una delle migliori leggi degli ultimi decenni, da votare assolutamente. Purtroppo c'è un grosso MA. In primo luogo sembra una riscrittura della cosiddetta legge Lorenzago del 2006, una sorta di ampliamento della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (confermata con il referendum costituzionale del 7 ottobre 2001), che intendeva convertire l'Italia in una vera e propria repubblica federale sul modello tedesco. In quel caso il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006 ha bocciato la legge. Questa volta la legge mantiene un profilo più basso, andando ad intaccare soltanto le due camere, depauperando in sostanza il Senato delle sue attuali funzioni. Il nostro bicameralismo perfetto è figlio di un'Italia uscita da una guerra e da una dittatura che hanno devastato il paese. I padri costituenti hanno perciò ritenuto necessario creare un equilibrio di poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario che scongiurasse il pericolo di un ritorno al passato. La riforma di fatto consegna il potere legislativo nelle mani dell'esecutivo, che, complice il nuovo sistema elettorale, garantisce al governo una maggioranza solidissima. Il sistema del bicameralismo perfetto viene superato inseguendo una riforma federale che non fa al caso delle divisioni amministrative del nostro paese, dal momento che le autonomie delle regioni non sono equiparabili a quelle di stati federati. Inoltre viene impoverita la rappresentanza elettorale, mascherandola da risparmio, mentre la cosa più naturale sarebbe non diminuire il numero dei parlamentari, ma piuttosto diminuire i loro emolumenti, dal momento che anche il 50% del loro attuale stipendio è in grado di garantire un tenore di vita più che dignitoso. Senza contare che già il sistema elettorale di fatto impone di scegliere solo le liste e non i candidati, con la nuova legge al Senato non si voterebbe affatto, poiché a votare sarebbero i consiglieri regionali. Nonostante i tanti aspetti positivi che la legge potrebbe avere (e che potevano benissimo essere scorporati e allestiti in una legge apposita), io ritengo che la cosa più naturale e sensata sia votare NO a questo quesito referendario. Ed è un NO che prescinde la fazione politica di appartenenza, che nasce nel merito della questione e non risponde al gioco di chi cavalca un facile populismo. Io voto NO perché penso che sia giusto preservare le istituzioni da modifiche dannose e perché il bene della Repubblica viene prima di qualsiasi cosa, anche degli interessi di partito e di credo politico.Read the whole post...
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