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B_NORM    
view post Posted on 7/2/2013, 17:37 by: MorrisReply
gattopardo
Tra qualche settimana gli italiani si ritroveranno di nuove alle urne per eleggere i propri rappresentanti al parlamento per la XVIIª legislatura repubblicana. Una legislatura dal doppiamente importante, in quanto prevede anche l’elezione del presidente della Repubblica. Nonostante i vari proclama che si sono registrati da più parti dello scacchiere politico, si torna a votare con l’invisa legge elettorale (La legge n. 270 del 21 dicembre 2005) voluta fortemente dal governo Berlusconi III e ideata dall’allora ministro delle riforme Roberto Calderoli (che la definì in seguito una porcata). A nessuno piaceva una legge elettorale che priva di fatto gli elettori della possibilità di scegliere i candidati, lasciando questo ingrato compito ai vari capi di partito. Per riassumere brevemente, si tratta di una legge proporzionale senza voti di preferenza (i voti vanno alle liste, vengono eletti i candidati inseriti nelle liste elettorali seguendo le graduatorie) che prevede diverse quote di sbarramento, cioè delle percentuali minime da raggiungere per ottenere dei seggi. Alla Camera dei deputati lo sbarramento previsto per le liste è del 4% su base nazionale, mentre alle liste inserite in una coalizione che ottiene più del 10% basta superare la soglia del 2%. Al Senato lo sbarramento previsto è dell’8% su base regionale, mentre alle liste inserite in una coalizione che ottiene più del 20% basta superare la soglia del 3%. Un ulteriore paletto è previsto per le coalizioni di più liste, che devono superare la soglia del 10% per ottenere dei seggi, a prescindere dalle percentuali delle singole liste che le compongono. Un cavillo permette alla prima esclusa di ogni coalizione (ovvero la lista che prende più voti tra quelle che non superano lo sbarramento) di essere ripescata ed ottenere quindi dei seggi. Altra peculiarità di questa legge è il cosiddetto premio di maggioranza spettante alla lista o coalizione che ottiene il maggior numero di voti. Alla Camera il premio va alla coalizione vincente su scala nazionale, che ottiene così la maggioranza assoluta dei deputati, mentre al Senato il premio viene assegnato in ogni singola regione, limitatamente ai senatori che ogni regione elegge. Esauriti questi particolari squisitamente tecnici, si può dare uno sguardo ai contendenti.

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Camera con vista,
Politica
Comments: 0 | Views: 117Last Post by: Morris (7/2/2013, 17:37)
 

B_NORM    
view post Posted on 11/2/2013, 19:00 by: MorrisReply
vaticano
Si soleva dire un tempo “morto un papa se ne fa un altro”, ma mai come oggi questo antico modo di dire suona obsoleto. Già, perché non sono passate molte ore dall’annuncio di Benedetto XVI (al secolo Joseph Ratzinger) di dimissioni dalla carica di pontefice. La portata di questo avvenimento è storica, perché anche se è vero che lo Stato del Vaticano (già Stato Pontificio) ha per capo una figura spirituale, in sostanza si tratta di una monarchia elettiva. In quanto monarca, il papa non è quindi per forza in carica fino alla morte, ma ha la possibilità di abdicare, lasciando al collegio dei cardinali l’onere di eleggere un successore. Eppure la pratica del papato fino alla morte era ormai un fatto assodato e divenuto tradizione, nonostante lo stesso codice pontificio preveda la possibilità di un abbandono della carica. Nonostante la portata dell’evento, nella storia non è l’unica volta che si è verificata una simile situazione. Nella storia del Papato si contano ben sei precedenti: il primo risale addirittura agli albori del cristianesimo, durante il papato di Clemente I, quarto pontefice della storia. Questo papa, vissuto nel periodo imperiale a cavallo tra i Flavi e la dinastia adottiva, lasciò la carica al suo successore Evaristo nel 97, prima di essere esiliato in Crimea, dove fu poi annegato per ordine dell’imperatore Traiano. Il secondo caso riguarda Ponziano, che lasciò il papato il 28 settembre 235 per permettere l’elezione del suo successore Antero, prima di essere deportato in Sardegna durante le persecuzioni dell’imperatore Massimino Trace. Il terzo caso si è avuto con Silverio, che fu deposto nel marzo del 537 dietro trama ordita dall’imperatrice bizantina Teodora, con l’accusa di aver cospirato con i Goti per consentire loro di prendere la città di Roma. Esiliato in Licia, venne successivamente riabilitato presso l’imperatore Giustiniano grazie al vescovo di Patara, che presentò inconfutabili prove dell’innocenza di Silverio. Il nuovo papa Vigilio, con la protezione dell’imperatrice Teodora (che ne aveva caldeggiato l’elezione), onde evitare il ritorno di Silverio a Roma, lo fece tradurre a Ponza, dove quest’ultimo firmò l’11 novembre del 537 un documento nel quale dichiarava di abdicare in favore del nuovo pontefice, per poi morire poco tempo dopo. Il quarto precedente è forse il più controverso, quello di Benedetto IX (al secolo Teofilatto dei conti di Tuscolo). Costui è passato alla storia come il papa più giovane di tutti i tempi (pare avesse undici o dodici anni quando fu elevato al rango di pontefice) e per la singolarità di aver ricoperto tale carica per ben tre volte.

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Camera con vista,
Storia
Comments: 0 | Views: 82Last Post by: Morris (11/2/2013, 19:00)
 

B_NORM    
view post Posted on 17/2/2013, 19:27 by: MorrisReply
bla
Nell’ultimo periodo abbiamo vissuto un clima tipico da campagna elettorale, anche se, grazie alla kermesse musicale di Sanremo, abbiamo potuto godere di un “momento di pausa”. Nonostante ormai sia abbastanza una prassi il clima infuocato che regna tra le parti politiche, è sempre sconvolgente assistere alle campagne elettorali italiane, specie in questo periodo storico, nel quale, complice la globalizzazione, siamo abituati a seguire anche quelle estere. Più cose saltano all’occhio: una costante aggressione verbale nei confronti degli avversari, con tentativi di denigrazione, che, se pur presenti anche nelle altre democrazie, in Italia raggiungono livelli inaccettabili, fino a sfociare nella volgarità. Teoricamente in una campagna elettorale si dovrebbero presentare i propri programmi politici ai cittadini, cercando di convincerli ad assegnare il loro voto alla propria fazione. Invece no, assistiamo ad una sequela di insulti, una rissa da bar (e in qualche raro caso si alzano addirittura le mani o si passa a vere e proprie minacce), l’unico motivo per il quale i cittadini dovrebbero assegnare il voto ad uno è perché è meglio (o meno peggio) degli altri. Le elezioni dovrebbero per forza di cose essere il momento di maggior contatto tra politici e cittadini, anche solo per una questione di forma, ma invece no, nel nostro paese non è così, o almeno non è più così. Una ragione fondamentale è da ricercare nel nostro sistema elettorale, grazie al quale in sostanza i cittadini delegano ai capi di partito il compito di scegliere i propri rappresentanti. In questo modo il candidato non è più legato agli elettori, ma al proprio referente che lo ha inserito nella lista. Ed è quindi naturale che a lui tenda a rivolgere le proprie attenzioni e a rispondere del proprio operato. Per questo motivo non esiste più una campagna elettorale vissuta sul territorio, la battaglia è in larghissima parte mediatica, la scena diviene un’esclusiva dei dirigenti di partito o degli esponenti di spicco delle varie coalizioni. Sempre più rari i comizi in piazza, che sono limitati ad eventi particolari che si svolgono nelle grandi città, dove comunque a salire alla ribalta sono in ogni caso i vari leader. Un’eccezione a questa regola sembra essere il Movimento 5 Stelle, che è l’unico ad occupare le piazze piuttosto che le tribune politiche. Purtroppo però questo non è un vero merito, più che altro è un limite del movimento stesso: nei vari comizi che vengono organizzati la voce è sempre e solo quella di Beppe Grillo, che si pone un po’ come un guru e un po’ come un profeta. Se vieta ai suoi candidati di partecipare alle trasmissioni tv è solo per il fondato timore che si facciano mettere in trappola dai vari leader ormai avvezzi allo strumento televisivo, del quale sono diventati con il tempo dei veri esperti.

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Camera con vista,
Politica
Comments: 7 | Views: 205Last Post by: LordAndrew (24/6/2015, 14:03)
 

B_NORM    
view post Posted on 26/2/2013, 12:23 by: MorrisReply
referendum
Dopo una notte a seguire dati e sondaggi contraddittori, arriva sempre il giorno successivo alle elezioni politiche. Ed è il giorno delle rivendicazioni. In particolare è il giorno in cui (quasi) tutti sono contenti. Nel centrosinistra c'è la convinzione di aver vinto perché si è preso qualche migliaio di voti in più e si ha la maggioranza alla Camera e la maggioranza relativa al Senato (dato non ancora definitivo, bisogna aspettare i risultati della circoscrizione Estero). Nel centrodestra si ha la convinzione di aver vinto, perché non si è perso: contro ogni pronostico (anche il più favorevole) si è arrivati quasi alla pari, ottenendo il risultato insperato di impedire la costituzione di una maggioranza di governo. Nel centro non si pensa di aver vinto (e sarebbe quantomeno assurdo il contrario), ma c'è grande soddisfazione per il risultato ottenuto. In realtà per i tre poli classici c'è ben poco da festeggiare: il centrosinistra ottiene una vittoria di Pirro che non consente nemmeno di provare un governo con numeri ristretti come il Prodi II, perde una buona fetta di voti (3 milioni e mezzo) rispetto alle elezioni (peraltro perse) del 2008 e perde buona parte della percentuale che i sondaggi gli assegnavano. Il centrodestra rispetto ai sondaggi di un anno fa ha recuperato molto, ma il risultato è quello del quale veniva accreditato un mese fa, sicuramente un grande recupero, ma rispetto a cinque anni fa ha perso 5 milioni di voti. Il centro veniva accreditato di un 12-14%, in realtà il risultato è stato più modesto, rispetto al solo UDC di cinque anni fa i voti sono 1,5 milioni in più, stessa cifra di voti che il partito di Casini perde in favore della lista civica per Monti. A questo aggiungasi che Fini e il suo partito escono dal Parlamento, conservando un senatore solo grazie alla scelta di comporre una lista unica per il Senato. Sicuramente perdenti sono i vari Ingroia e Giannino, che sono rimasti esclusi dal Parlamento, e sicuramente vincenti sono i "grillini" del Movimento 5 Stelle, che hanno conseguito un risultato ben aldilà delle aspettative. Chiarito questo però, il punto focale è un altro: i vincitori o presunti tali hanno davvero la possibilità di gioire della loro affermazione? Se non c'è possibilità di creare una maggioranza, a nulla serve che il centrosinistra abbia preso più voti o che il M5S abbia ottenuto un numero di parlamentari così ampio. La prospettiva di un ritorno al voto è al momento la più probabile. A quel punto sarebbe proprio la lista di Grillo ad essere la favorita per la vittoria, ma la prova del governo potrebbe smantellare poi definitivamente il movimento.

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Camera con vista,
Politica
Comments: 0 | Views: 69Last Post by: Morris (26/2/2013, 12:23)
 

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