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B_NORM    
view post Posted on 2/4/2016, 15:14 by: MorrisReply
Come ormai sapranno anche i sassi, il prossimo 17 aprile si voterà un referendum. Prima di entrare nel merito del quesito, è lecito chiedersi in particolare due cose: perché indire un referendum in una data differente da una consultazione elettorale che si svolgerà meno di due mesi dopo? Perché invece dei canonici fronti del SI e del NO ci sono quello del SI e quello dell'astensione? Per entrambe le domande, la risposta è una sola: il referendum è qualcosa di scomodo che va fatto fallire, puntando a non fargli raggiungere la fatidica soglia della maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. Questo perché il costume politico nazionale si è indirizzato ormai da anni (sin dal famigerato Porcellum) alla delega assoluta sulle decisioni, ai cittadini viene chiesto di limitarsi a mettere la croce su un simbolo, tutto il resto deve essere appannaggio dei vari capi di partito e di movimento. Per questo motivo viene malvista una consultazione popolare che possa modificare delle decisioni già prese, arrivando ad aumentare i costi (che praticamente raddoppiano rispetto ad un accorpamento alle comunali) e a sfruttare il disinteresse di chi non andrebbe a votare a prescindere. Qualcosa di estremamente antidemocratico insomma.
Ma andiamo al nocciolo della questione, ossia l’abrogazione dell’articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Nell'articolo di questo decreto viene stabilito che non sarà più possibile ottenere concessioni governative per trivellazioni in mare per sfruttamento di giacimenti petroliferi o di gas naturale entro le 12 miglia marine (22,224 km) dalla costa. Le concessioni in essere quindi non possono più essere rinnovate, e le strutture devono essere smantellate alla scadenza. Il referendum riguarda la cancellazione di un'aggiunta a quest'articolo, datata 24 giugno 2014, che consente lo sfruttamento dei giacimenti presenti entro le 12 miglia dalla costa non fino alla scadenza della concessione, ma fino all'esaurimento del giacimento stesso. In numeri si parla del 3% del fabbisogno nazionale di gas naturale e dell'1% del fabbisogno di petrolio. In buona sostanza nel giugno del 2014 c'è stato un cadeau governativo agli enti che gestiscono le piattaforme.

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Camera con vista
Comments: 4 | Views: 108Last Post by: Morris (17/4/2016, 12:41)
 

B_NORM    
view post Posted on 7/4/2016, 16:21 by: MorrisReply
palm-oil
Una delle battaglie che tanto piacciono alla rete e che appassionano gli internauti è sicuramente quella derivante dal dibattito sull'olio di palma. Negli ultimi tempi, a causa delle tante campagne che incitavano al boicottaggio di questo prodotto, l'olio di palma è sbarcato anche sulle reti televisive, con uno spot dell'Unione Italiana per l'olio di palma sostenibile. A seconda delle fazioni, l'olio di palma è dannoso per la salute oppure è un ottimo alimento completamente naturale, è sostenibile perché ha una produzione per ettaro maggiore rispetto ad altri tipi di olio oppure è insostenibile perché spinge i coltivatori a piantare nuove palme abbattendo le foreste. La verità, come sempre, si trova nel mezzo.
Sarebbe bene iniziare dicendo, con buona pace dei detrattori, che l'olio di palma non è assolutamente nocivo per la salute. Nelle zone d'origine come l'Africa occidentale o l'Asia sud-orientale viene da sempre utilizzato a scopi alimentari, né più né meno come l'olio d'oliva o di semi in Europa. Il problema è sorto quando, grazie al costo di produzione decisamente conveniente, l'olio di palma si è imposto come ingrediente principe di svariati prodotti, dagli alimenti fino ai biocarburanti. E quindi l'aumento della richiesta ha portato anche ad un incremento delle coltivazioni, a scapito di altre meno redditizie o addirittura mediante la creazione di nuovi terreni con l'abbattimento di foreste. E qui sono nati i problemi derivanti dall'olio di palma: deforestazione incontrollata che mette in pericolo la fauna, coltivazioni intensive che depauperano altri tipi di colture e spingono l'agricoltura delle zone di produzione verso la politica del monoprodotto, sfruttamento della manodopera, anche infantile. È vero come sostengono i sostenitori dell'olio di palma che la resa è decisamente maggiore rispetto ad altri prodotti simili, ma è anche vero che il prodotto è utilizzabile in più campi e che quindi la richiesta crescente richiede in ogni caso un incremento della produzione, comportando quindi un danno ambientale. Inoltre, come insegna la storia dell'America Latina, agganciare la propria politica economica, basata principalmente sull'esportazione agricola, ad un solo prodotto comporta dei rischi enormi per qualsiasi paese.

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Camera con vista
Comments: 6 | Views: 93Last Post by: Morris (27/5/2016, 09:26)
 

B_NORM    
view post Posted on 18/4/2016, 17:11 by: MorrisReply
Dopo il naufragio del referendum, non si placano le polemiche sulla questione trivelle, ma soprattutto si continuano a raccontare delle vere e proprie favole. Passata la campagna elettorale, sarebbe opportuno che la politica metta da parte le armi e che anche il giornalismo di parte riprenda a fare una parvenza di informazione. Ma in questo caso non accade. Senza farsi venire il mal di testa per capire il perché, analizziamo gli scenari futuri.
Dato che il referendum è fallito, non viene abrogata la norma che consente alle piattaforme di avere una vita sostanzialmente infinita. Sta alle società titolari di concessioni decidere fino a quando estrarre petrolio e gas naturale dalle piattaforme e soprattutto se e quando smantellare le piattaforme stesse. Perché il problema non sta nei posti di lavoro (che non sono legati alle piattaforme, in quanto gli operai lavorano per la società e non per una singola piattaforma) salvaguardati né nel fatto che si possa estrarre materiale senza una scadenza, ma piuttosto nell'ipotesi che queste piattaforme di fatto non verranno mai più smantellate.
Che le piattaforme siano un problema è certificato anche dal decreto legislativo 152 dell'aprile 2006, che ha sancito la fine delle concessioni per le trivellazioni in mare a meno di 12 miglia dalle coste. Il decreto consentiva alle piattaforme già esistenti di continuare la loro vita naturale fino alla scadenza, consentendo quindi di continuare ad estrarre (presumibilmente fino all'esaurimento del giacimento) prima di dover smantellare il tutto. Perché un giacimento come quelli di cui si parla difficilmente ha una vita più lunga della concessione. Così facendo, in teoria le società potrebbero mantenere attive quelle piattaforme per sempre, che in pratica non verranno mai smantellate, in barba proprio a quel decreto che ne vieta la costruzione di nuove. E qui viene fuori l'altra inesattezza: la stragrande maggioranza ha pensato (e pensa tuttora magari), che una vittoria del SI avrebbe portato all'immediata chiusura. Insomma, secondo tanti oggi una vittoria del SI avrebbe dato il via allo smantellamento delle trivelle, cosa che invece sarebbe stata molto graduale e sarebbe durata una ventina d'anni. E soprattutto, va smentita l'altra grande bugia sull'importanza delle estrazioni di idrocarburi per il nostro fabbisogno di energia. Fermo restando che le società concessionarie sono in buona parte estere e che non apportano nulla al nostro paese né in termini di PIL né in termini di manodopera, il frutto delle estrazioni equivale all'1% del fabbisogno di petrolio ed al 3% di quello di gas naturale. Per non parlare dei benefici dell'indotto tanto decantati, che non si sa da cosa derivino, visto che gli operai vivono e lavorano sulle piattaforme.

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Camera con vista
Comments: 0 | Views: 59Last Post by: Morris (18/4/2016, 17:11)
 

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